L’osservazione visuale

Ogni disciplina umana ha bisogno di essere coltivata, il pianista si esercita intere ore, tutti i santi giorni sui tasti del suo pianoforte, e il praticante di discipline sportive deve mantenersi in allenamento per riuscire a dare il meglio di sè. 
Anche l’osservazione diretta all’oculare del telescopio richiede pratica, allenamento e costanza, solo in questo modo potremo sperare di vedere veramente tutto quanto alla portata del nostro telescopio, unitamente al seeing e alla trasparenza atmosferica. 
Come praticante di arti marziali, ho imparato molto presto il valore del metodo durante una sessione d’allenamento; pratica e allenamento costante… Ma qual è il metodo nell’osservazione visuale? 

Come ebbe modo di scrivere il grande W. Herschel: Vedere è un’arte che bisogna apprendere, se ho acquisito una certa abilità nell’osservazione del cielo, ciò è dovuto principalmente ad una pratica regolare. 
Herschel ha senz’altro ragione, bisogna imparare a conoscere bene lo strumento, iniziando dal nostro occhio, comincerò pertanto a trattare il nostro organo della visione, facendolo in senso strettamente astronomico. 

L’occhio
Se potessimo osservare il comportamento dell’occhio durante le diverse condizioni di illuminazione, potremmo notare un fatto: durante la visione diurna (o fotopica) la nostra pupilla si riduce al minimo del suo diametro, mentre in visione notturna (o scotopica) la pupilla aumenta il suo diametro, fino a raggiungere, in un occhio sano e in età giovanile, il massimo del suo diametro consentito, intorno cioè ai 7 mm (eccezion fatta per le cosiddette “pupille di gufo”). La spiegazione di questo comportamento risiede nella maggiore (o minore) necessità di luce. Durante la notte, il maggior diametro assunto dalla nostra pupilla serve a raccogliere più luce, mentre di giorno il diametro della pupilla si riduce. Nell’osservazione degli astri abbiamo bisogno certamente di una maggior quantità di luce, eccezion fatta – naturalmente - per il Sole la Luna e pochi altri corpi celesti. Più grande sarà il diametro della pupilla più luce saremo in grado di raccogliere. Ma come si è detto in precedenza, il diametro massimo raggiungibile dalla nostra pupilla si colloca intorno ai 7 mm e, se vogliamo aumentare la quantità di luce, dobbiamo far crescere questo diametro. Con l’ausilio di un telescopio da 50 mm è come se avessimo allargato la nostra pupilla fino a farle raggiungere questo valore, con conseguente guadagno in termini di luminosità.
Torniamo per un momento al diametro massimo raggiungibile dalla pupilla, questo non viene raggiunto istantaneamente, ma per giungere ai fatidici 7 mm bisognerà attendere una buona mezz’ora al buio. 
Quindi, la prima regola a cui deve attenersi colui che vuole osservare le meraviglie celesti, specialmente gli oggetti del cielo profondo, è quella del cosiddetto “adattamento al buio”. 
Dobbiamo a questo punto impadronirci di un altro concetto: la rodopsina. Si tratta di un pigmento contenuto nelle cellule della retina, per la precisione nei bastoncelli; consiste in un una proteina, la scotopsina, a sua volta legata con una sostanza fotosensibile, il retilene. 
La presenza della rodopsina eccita i fotorecettori, che in questo modo divengono più sensibili allo stimolo luminoso, si tratta quindi di un elemento d’essenziale importanza per l’osservatore visuale del cielo profondo. Per raggiungere l’equilibrio fra massimo diametro della pupilla e la giusta quantità di rodopsina, l’occhio può impiegare anche un’ora e mezza, è importantissimo perciò conservare un ottimo adattamento al buio una volta raggiunto. Per consultare carte celesti, atlanti e quant’altro, ci serviremo di una luce rossa, e, se osserveremo da località montane nelle vicinanze di una strada, staremo attenti ai fari di una eventuale automobile di passaggio. 

Sapere come e cosa osservare
Se è vero come è vero che l’occhio raccoglie la luce, è nel cervello che si svolge il processo della visione, infatti esso codifica e dà un senso a quello che vediamo, quindi, una delle maggiori difficoltà nell’osservazione dei corpi celesti, consiste nel fatto di osservare in condizioni aliene alla quotidianità. Bisogna sapere quel che si vede, oltre a come vederlo, ma torniamo al nostro occhio.
I fotorecettori presenti sulla retina si dividono in due categorie: i coni e i bastoncelli. I primi, (collocati nella parte centrale della retina) sono specializzati nella visione diurna e sono sensibili ai colori, mentre i secondi, (collocati nella parte periferica della retina) sono specializzati nella visione a bassi livelli di illuminazione, cioè in una situazione notturna. I coni hanno bisogno di maggior stimolazione fotonica per essere attivati, mentre i bastoncelli si attivano con meno stimolo luminoso. 

La visione distolta

Come osservare 
Una tecnica molto efficace utilizzata praticamente da tutti gli osservatori del cielo profondo, consiste nella cosiddetta “visione distolta”: abbiamo detto che i bastoncelli, i fotorecettori utilizzati in visione scotopica (notturna), si collocano in posizione periferica nella retina, per sfruttarli al massimo bisognerà guardare l’oggetto, una galassia ad esempio, non direttamente ma girandole intorno, quasi di sbieco. Adottando la visione distolta, potremo riuscire a vedere gli oggetti più deboli, e poi dobbiamo tenere conto del fatto che quando i bastoncelli sono adattati perfettamente al buio, possono incrementare la sensibilità dell’occhio anche di un fattore 10.000! 
Adattamento al buio e utilizzo della visione distolta fanno la differenza fra il vedere e il non vedere, molte volte è capitato a chi scrive di sentirsi dire, “certe cose le vedi solo tu” e in un certo senso è vero, tutto consiste però nella pratica d’osservazione.

Cosa vedere 
Quando 24 anni fa cominciavo a osservare attraverso il mio primo telescopio, mi capitava decisamente spesso, di puntare una galassia senza accorgermi della sua presenza nel campo dell’oculare, sapevo che lo strumento puntava questo o quell’oggetto, perché qualche collega astrofilo più esperto di me lo stava gustando appieno! Pensavo di essere negato per questo genere di cose, ma non mi arresi, cominciai a applicarmi per riuscire ad impadronirmi delle varie tecniche di osservazione, la qual cosa mi diede una bella spinta in avanti, ma c’era un altro fattore che ho imparato molto bene a considerare: il sistema occhio-cervello.
Dobbiamo anche sapere quel che vediamo, infatti un certo tipo di aspettativa può portare al fallimento. Esempio: se punto la galassia M74 nella costellazione dei Pesci, e sono a conoscenza che la sua magnitudine visuale è di 9,2, mi aspetterò certamente di vedere un oggetto brillante, se unisco anche le sue dimensioni angolari, 10,2’ X 9,2’ oltre la luminosità mi aspetterò di vedere un oggetto decisamente grande. Ma una volta centrata la galassia nel campo dell’oculare posso anche non veder nulla, anche se l’oggetto è perfettamente centrato. Infatti anche se la mv (magnitudine visuale) della galassia ha un buon valore, le sue grandi dimensioni, unitamente al fatto di essere vista di fronte, sparpagliano la luce della galassia su tutta la sua area rendendola di fatto un oggetto debole. Queste sono cose che s’imparano con l’esperienza di cosa vedere.
Uno dei motivi principali della nota difficoltà nell’osservare visualmente la nebulosa oscura Testa di Cavallo in Orione, come ben sanno tutti gli osservatori esperti, risiede nell’attribuire dimensioni troppo grosse a quest’oggetto, questo succede perché siamo influenzati dalla sua immagine fotografica. Osservandola senza l’aiuto di nessun filtro, nel mio telescopio da 50 cm di diametro, ho potuto verificare visivamente quanto or ora affermato. 

Un colpetto al telescopio
Coloro che si occupano della psicologia della visione, affermano che l’occhio è un rivelatore del movimento. 
Il movimento degli occhi, non fa che portare un oggetto fermo nel campo periferico della retina, quindi, dal momento che i recettori della retina segnalano più efficacemente un oggetto che si muove, c’è una tecnica utilizzata dagli osservatori esperti del cielo profondo, - ma anche coloro che si occupano dell’osservazione planetaria ne fanno buon uso – che consiste nel dare un leggero colpetto al tubo dello strumento, (i telescopi dobsoniani privi di inseguimento orario rappresentano quanto di meglio nella rivelazione degli oggetti più fiochi), quando vogliono confermare la presenza di un oggetto al limite della visibilità. 

La scelta dello strumento 

Una volta venuti a conoscenza delle potenzialità dello strumento per eccellenza - l’occhio -, probabilmente cominceremo a preoccuparci della scelta di un telescopio. Questa fase potrebbe diventare un vero problema, vista l’enorme varietà di strumenti presenti oggi sul mercato. 
E’ prassi assai normale che il neofita non conosca ancora il proprio campo di interesse nell’ambito astronomico, sarà bene – a questo punto – orientare il primo acquisto verso uno strumento tuttofare, rivolgendo la propria attenzione verso uno strumento più specifico, solamente a idee più chiare. 
Il prezzo del primo telescopio non dovrebbe essere tanto elevato, e nemmeno il diametro, (con il diametro crescono anche i problemi). Ci si può rivolgere ad un astrofilo esperto per avere dei consigli al riguardo, ma sarebbe meglio avere una propria cultura in materia di strumentazione astronomica. 
Esistono diversi tipi di telescopi, quello a rifrazione, (rifrattore), quello a riflessione (riflettore) e quello che sfrutta una combinazione di entrambi i principi ottici, (catadiottrico). Nell’effettuare la scelta dello strumento entrano in gioco tanti fattori: il prezzo, l’ingombro, la trasportabilità, l’impegno ecc, ognuno dovrà pertanto fare i propri conti. Possiamo però delineare alcuni parametri generali. 

Il rifrattore 
Uno strumento a lenti ha il pregio di non richiedere molta manutenzione, e se ha un certo diametro – non superiore ai 15 cm – può ancora risultare abbastanza maneggevole, risente poco della turbolenza atmosferica, fornendo quindi spesso immagini molto incise. Uno strumento a rifrazione presenta l’inconveniente dell’aberrazione cromatica, che può essere ridotta al minino anche se a prezzi davvero molto alti. Una lunga focale rende lo strumento più adatto alle osservazioni di oggetti brillanti, come i pianeti, le stelle doppie, il Sole e la Luna, mentre una focale più corta si rivolge ad oggetti più estesi, come nebulose e vasti campi stellari. Uno dei più grossi svantaggi del rifrattore è il suo prezzo, se vogliamo comperare uno strumento di provata qualità, ad esempio un apocromatico, dovremo anche essere disposti a spendere certe cifre. 

Il riflettore Newton 
Il riflettore Newton è uno strumento relativamente semplice da lavorare, (ho detto semplice e non semplicistico), e ha il grande pregio di essere relativamente economico in relazione all’apertura, rispetto ad altri tipi di configurazioni ottiche. Come il rifrattore ha lo svantaggio della lunghezza del tubo, se lo strumento ha una focale di 2 metri, il tubo è lungo 2 metri – e a meno di non utilizzare una montatura del tipo Dobson, diviene intrasportabile. E’ molto sensibile alla turbolenza atmosferica e richiede una certa manutenzione, specie nei diametri più grandi. Con un certo rapporto focale può essere utilizzato proficuamente anche nell’osservazione dei pianeti, rivaleggiando con i migliori rifrattori, se la qualità di lavorazione è ottima e l’allineamento delle ottiche preciso. Inutile dire che rende decisamente bene nell’osservazione del cielo profondo. 

Il catadriottico
Uno strumento catadriottico utilizza una combinazione di lenti e specchi; unisce la relativa scarsa sensibilità alla turbolenza atmosferica (tipica del rifrattore), al grande diametro, tipico dei riflettori newtoniani, inoltre, se ben lavorato, è in grado di dare belle immagini. Lo Schmidt-Cassegrain rappresenta un buon compromesso tra rapporto prezzo/prestazioni, possiamo infatti trovare diametri generosi a prezzi relativamente abbordabili. Uno dei grandi vantaggi di questo tipo di configurazione ottica è rappresentato dalla compattezza, unitamente al fatto che siamo di fronte a strumenti tuttofare. 

La montatura
La montatura rappresenta quel dispositivo in grado di garantire il sostegno e la mobilità di uno strumento ottico. C’è ne sono di due tipi fondamentali: l’altazimutale e l’equatoriale. 
La montatura altazimutale si muove su due assi, l’azimut e l’altezza. Rappresenta un tipo di montatura semplice e viene fornita con i piccoli strumenti, anche se i telescopi dell’ultima generazione possono essere forniti su montatura altazimutale motorizzata e computerizzata. 
Anche la montatura del tipo equatoriale si muove su due assi; uno parallelo all’asse polare e uno perpendicolare a quest’ultimo. (AR e Dec.). La montatura equatoriale del tipo a forcella, e quella del tipo alla tedesca sono quelle maggiormente utilizzate dagli astrofili. 
Molto spesso – purtroppo – la stabilità della montatura, viene trascurata. Una montatura troppo leggera può rendere vana anche l’ottica migliore. La scelta del tipo di montatura, deve essere fatta rispettando i criteri della stabilità, e (se non osserviamo da una postazione fissa), della trasportabilità. I soldi spesi in una buona montatura rappresentano un buon investimento, dal momento che possiamo montare diverse ottiche sulla stessa montatura. Nella scelta della montatura dobbiamo pensare a un buon treppiede, che anche in questo caso deve unire le qualità della robustezza e della trasportabilità. 

Il Cercatore 
Si tratta di quel cannocchialino che generalmente serve come puntatore. Normalmente lo si trova a corredo dello strumento acquistato, e nel caso di una montatura dotata di puntamento automatico servirà solamente a inizio osservazione, comunque non tutti possiedono telescopi computerizzati e, specialmente i neofiti, potrebbero sentire la necessità di un puntamento manuale, la qual cosa permetterà loro di familiarizzare con la volta stellata. Quindi, nell’ottica di utilizzare il cercatore per puntare gli oggetti del cielo profondo ci si dovrebbe attenere ad alcune semplici regole.
Per prima cosa, dovremmo avere una versione possibilmente priva di visore a 90°, altrimenti l’immagine fornita dal nostro cercatore sarà come se vista allo specchio, (se ci ritroviamo tra le mani un simile cercatore, potremo consultare la carta celeste riflessa in uno specchio). Seconda cosa, il cercatore dovrebbe avere un diametro in rapporto almeno 1:3 con lo strumento principale. Ad esempio se possediamo un telescopio da 150 mm d’apertura, il diametro del cercatore dovrebbe collocarsi intorno ai 50 mm. Per finire, un reticolo illuminato (illuminazione variabile rossa), potrebbe facilitare l’operazione di puntamento. 

Quali oculari?
Un altro importante passo da fare nella scelta del proprio telescopio, è rappresentato del corredo degli oculari; quali e quanti? 
Consideriamo la suddetta regola; ingrandire di più non vuol dire vedere di più! Purtroppo sono in molti a credere, che con l’ingrandimento aumenta anche la prestazione dello strumento utilizzato, niente di più sbagliato. Il ventaglio di ingrandimenti possibili dipende in primis dal diametro del telescopio, poi dalla qualità delle ottiche e ultimo ma molto importante, dalle condizioni del cielo. Riporterò di seguito alcuni criteri da adottare nella scelta degli oculari.
1. L’oculare si comporta come un microscopio che analizza l’immagine fornita dall’obbiettivo del telescopio. 
2. Gli ingrandimenti, sia massimi che minimi, dipendono dalle caratteristiche dello strumento utilizzato. 
Il punto 1 ci fa capire che è inutile forzare gli ingrandimenti, non sarà possibile vedere più di quello che è in grado di mostrare la nostra ottica. Un oculare di buona qualità ci permetterà di sfruttare al meglio l’ottica a nostra disposizione. 
Il punto 2 mette in relazione ingrandimenti massimi e minimi. Con un telescopio a specchio da 100 mm di diametro, 15X rappresentano il limite inferiore, e circa 200X quello superiore. Che vuol dire? Forse non possiamo superare tali limiti? In fin dei conti basta utilizzare oculari dalla focale adatta e il gioco è fatto. Supponiamo di utilizzare 8X con l’apertura di cui sopra, l’unico risultato sarà quello di sprecare della luce, avremo una pupilla d’uscita superiore a 7 mm, quindi il nostro occhio non c’è la farà a intercettare tutto il fascio luminoso, con conseguente fastidiosa vignettatura. E se – all’altro estremo – provassimo a osservare a 500X, tutto quello che otterremo sarà un’immagine molto scura priva di particolari. Nella realtà utilizzeremo ingrandimenti medi. 
Un buon parco oculari, dovrebbe tenere conto del parametro “ingrandimenti”, sceglieremo gli oculari in modo da rispettare quelli minimi, medi e massimi, aggiungendo una buona lente di Barlow. 
Se siamo interessati all’osservazione di grandi campi stellari, sarà opportuno munirci di oculari grandangolari o supergrandangolari. 

Altanti stellari 
A questo punto siamo in possesso di un telescopio, di oculari adatti e ci troviamo sotto un bel cielo stellato… ma senza una carta stellare potremo fare ben poco.
Un atlante stellare adatto al neofita, non dovrebbe spingersi a mv (magnitudini visuali) troppo deboli, infatti l’inesperto potrà confondersi facilmente, costui dovrebbe munirsi di quella che viene propriamente definita “carta stellare”, la quale riporta cartine con ampie zone di cielo, a differenza degli altanti stellari i quali riportano stelle più deboli e con un alto grado di dettaglio. 
Nel libro “L’osservazione visuale del cielo profondo” ho utilizzato proprio delle carte stellari, con un appunto per il lettore che dice: “Per un uso più proficuo di questo libro, l’autore consiglia l’uso di un buon atlante stellare che riporti le stelle almeno fino alla Mv 8”. Ma il principiante, o anche colui che non ha ancora una grande confidenza con la pratica dell’osservazione, le gradirà maggiormente. 

Al lavoro! 
Tante volte, recandomi in alta montagna per osservare le meraviglie del cosmo, mi chiedo il motivo che mi spinge a fare tutto quello che faccio: prendere freddo, fare le nottate, rubando ore a un buon sonno, e spendendo anche parecchi soldini per farlo. Penso che questa rappresenti la domanda di chiunque faccia il “mestiere” dell’astrofilo. L’unica risposta che trovo è: la passione! Ma, come specificato all’inizio di questo articolo, la metodologia con la quale si affronta una serata d’osservazione è di basilare importanza, vedremo di seguito alcuni accorgimenti utili per effettuare un lavoro piacevole e proficuo. 
Tanto per cominciare, ci si dovrebbe recare in montagna solo avendo le idee chiare su quello che vogliamo fare, potremmo altrimenti sprecare nottate preziose. Dovremmo – possibilmente – avere un programma degli oggetti da osservare: tipologia, costellazione ecc… E’ ovvio che questo programma dovrà avere una certa flessibilità, rischiamo altrimenti di diventare i dittatori di noi stessi! 
Possiamo portare con noi, sia un dettagliato altante stellare che un catalogo fotografico, così da poter essere sicuri di aver identificato anche gli oggetti più deboli. Dovremmo annotare tutto quello che osserviamo, ma anche gli oggetti che non siamo riusciti a vedere, annotando la mv limite della serata, se c’è vento, la trasparenza del cielo e l’eventuale presenza della Luna. Anche un libro sull’argomento potrebbe essere un valido aiuto. Dovremmo munirci di un piccolo registratore, in modo da evitare di dover scrivere, al buio e al freddo, (mi riferisco alla mia personale esperienza). Ed infine anche la comodità dell’osservazione dovrebbe essere presa in una certa considerazione, compreso il vestiario. Ricordo una serata molto fredda, durante la quale un collega aveva dimenticato i doposci; è dovuto praticamente scappar via. 
La comodità non deve apparire esclusivamente come un vezzo, osservare in posizioni molto scomode, oltre ai problemi di salute, si ripercuote soprattutto sulla capacità di vedere. 

Non è mai abbastanza
Molti astrofili commettono (secondo il parere di chi scrive), un errore madornale; cambiano il proprio telescopio con un esemplare più grande, pensando in questo modo di vedere di più. E’ certamente lecito, oltre che auspicabile, voler migliorare la propria condizione, ma se non abbiamo imparato a sfruttare al meglio la strumentazione in nostro possesso, sarà come sperare di riuscire a guidare come un campione di formula uno, (non sapendo affatto guidare), acquistando un gioiello d’auto! Ogni apertura ha i propri limiti, che bisogna saper raggiungere o anche superare (seppur di poco), solo in questo modo potremo sperare di sfruttare un ottica migliore. Con il mio mezzo metro, riesco a vedere galassie di mv intorno alla 15,5, solo perché con un’apertura da 155 mm – rifrattore apocromatico -, riuscivo a vedere (seppur in maniera decisamente spettrale), galassie di mv 14; meditate gente, meditate. 

Conclusioni 
Osservare è un arte e come tale deve essere trattata, per impadronirsi totalmente di quest’arte ci vogliono anni di costante pratica. Anche fotografare è un arte, ma riuscire a vedere – o preferibilmente, percepire – dettagli squisitamente fotografici, direttamente nell’oculare del proprio strumento, è come arrivare sulla cima dell’Everest avendola scalata e non con un passaggio in elicottero. La nebulosa oscura Testa di Cavallo è perfettamente visibile nelle fotografie, ma apprezzare la sua diafana bellezza visualmente, significa coglierne l’essenza più intima. 


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