Parte prima
Prologo
La capacità di domandarsi il perché delle cose, rappresenta la vera ricchezza
di un essere umano, (altrimenti) così spaventosamente abbruttito dall'avidità
e dalle smanie di potere. Noi tutti possediamo un bene prezioso, il nostro
cervello, con una delle sue qualità più rinomate: la possibilità di pensare.
Possiamo e dobbiamo esercitare questa qualità, che così tanto ci ha donato
anche in termini evolutivi; quale speranza avremmo avuto nella savana, come
concorrenti di predatori decisamente più forti e capaci di noi, nella
competizione verso il cibo, se non avessimo sviluppato un'enorme supremazia
celebrale nei loro confronti? Dovrà pur significare qualcosa essere riusciti a
staccarci così tanto dalle altre specie che con noi condividono il pianeta?
(Anche se per alcuni versi non ci siamo affatto evoluti)!
La scienza e la tecnologia, la logica, la poesia, la musica, l'arte… tutte
queste cose rappresentano quanto di meglio abbiamo saputo realizzare, proprio
come la guerra, il maltrattamento di altri esseri umani, (schiavitù), la
coercizione in nome di questo o quell'ideale, rappresentano quanto di peggio
siamo stati in grado di sfornare. A seguito di affermazioni come; "gli
altri animali non fanno la guerra", ci dimentichiamo spesso che gli altri
animali non hanno creato una Gioconda, o un Sidereus Nuncius.
E' bello
potersi guardare intorno e cercare di comprendere come ci siamo evoluti, da dove
veniamo e dove stiamo andando, ma anche dove potremmo andare a sbattere! Con
questa serie di scritti, intendo occuparmi proprio di alcune tra le più belle
conquiste dell'umanità, di un patrimonio culturale collettivo.
Non mi avvarrò di equazioni matematiche per affrontare certi argomenti, primo, non è materia di mia competenza, secondo, non penso che la matematica sia davvero l’unico linguaggio per affrontare certe cose, (Faraday dovrebbe servire come buon esempio), e terzo, si possono trovare in altre (più autorevoli) sedi, tutte le equazioni che si vogliono. Ma, a parte l’estremo grado di tecnicismo che ne
impedirebbe la consultazione al non specialista, pensiamo davvero che la capacità di poter comprendere sia una loro esclusiva? Non lo penso affatto, ed è con questo stato d’animo che
mi accingerò a scrivere. Quanto da me riportato non vuole assumere caratteristiche di verità evangeliche, semmai è uno spunto del tutto personale di riflessione verso tutto quello che la ricerca di punta ci offre, anzi, è un
riconoscimento della validità di questa ricerca, che non dovrebbe forgiare scienziati con il nasino all’insù (come purtroppo capita spesso), ma
dovrebbe permettere al normale cittadino di utilizzare il frutto di queste ricerche, evitando un inutile oscurantismo in nome della scienza, creando un elitarismo inutile e pernicioso. Un ultimo invito: se pensare significa esser presuntuosi, chi scrive è un presuntuoso per eccellenza.
L’espansione del pensiero
Come tutte le cose, la nobile scienza del cielo ha diverse diramazioni secondarie, anzi, essendo un’attività “elevata”, i suoi aspetti secondari possono assumere valori decisamente superiori ad aspetti primari di altre discipline.
Dico questo senza connotati di fanatismo, semplicemente constato un dato di fatto. L’astronomia come la contemplazione e lo studio del tutto, in quanto l’Universo può esser – a ragione – definito il “tutto”.
Chi si occupa della scienza del cielo, viene – da sempre – definito “sognatore“, ma nella realtà dei fatti la mente si apre a dimensioni decisamente nuove, prospettive sempre più ampie fanno capolino nella nostra esistenza e, non si finisce mai di meravigliarsi di fronte all’incantevole spettacolo offerto dalla natura. L’eterno bambino con i suoi interminabili “perché”, non muore mai, gli anni passano ma qualcosa resta
immutata e questo qualcosa la definisco (non avendo termini migliori): curiosità.
Quando l’umanità conobbe la Rivoluzione Copernicana, non mutò soltanto un paradigma vecchio di secoli, ma cambiò interamente la prospettiva del posto umano sul pianeta Terra e nel cosmo in generale. Una mente ampia, illuminista, si fece strada, aprendo la ricerca ai confini dell’infinito.
Pensare in grande
Uno dei maggiori pericoli per l’essere umano viene rappresentato da una visione ristretta delle cose, compromettendo in tal modo la grande duttilità del nostro cervello, ma soprattutto rendendoci incapaci di avere quella grande e ampia visione, indispensabile per la nostra salvaguardia e per quella del pianeta che abitiamo. In fin dei conti, ogni genere di fanatismo si alimenta proprio dall’incapacità di vedere
e di pensare. Riflettendo sul viaggio che intraprese Cristoforo Colombo con il senno di poi, ci si rende conto che non ebbe un’importanza che potremmo definire, puramente “geografica”, ma anche – soprattutto – psicologica. Quando i confini del mondo conosciuto si allargano a dismisura, allora anche la nostra capacità di vedere deve allargarsi a dismisura. Se il viaggio del genovese coadiuvò questo allargamento, quello iniziato da Galileo Galilei ne aumentò il raggio smisuratamente.
E’ molto importante osare, ma ancor più importante è osare dove nessuno ha mai osato! Lo sapevano bene scienziati della stazza di Newton, lo stesso Galilei e Albert Einstein. Per non parlare di R. Feyman, che fece importanti scoperte nella fisica quantistica, semplicemente invertendo il “fattore tempo” nelle equazioni!
L’abbattimento delle barriere
E’ importante a questo punto, capire l’atteggiamento del oso dove nessuno ha mai osato… Sappiamo quanto fu difficile disfarsi del sistema aristotelico/tolemaico, e per diversi motivi: il vecchio “Sistema del
Mondo” poneva le sue basi sul cosiddetto senso comune, ma – come ebbe a dimostrare
Galileo – non sempre il senso comune, può essere testimone della realtà, (o almeno di una delle innumerevoli
facce della realtà). Lo sappiamo del resto anche ai nostri giorni, basta vedere il cosiddetto Principio Antropico, nelle sue due versioni: forte e debole.
Senza scendere in dettagli tecnici, possiamo definire la variante “forte” di tale principio, come l’affermazione che il Tutto esiste per ospitare la vita così come la conosciamo. Quello “debole” ci dice che, solamente una piccola parte di un Universo, vasto e inospitale, è in grado di accogliere l’essere umano. Secondo il mio modestissimo parere, il problema è mal esposto. Parliamo di un unico Universo, e di un'unica possibilità: visto in questo modo il Principio Antropico sembrerebbe indispensabile.
Per quanto strana e bizzarra, la teoria della relatività, unitamente alla fisica quantistica, sembra invocare la presenza di altri universi, che potrebbero spiegare la stabilità dell’atomo e l’apparente assurdità del “comportamento” dell’elettrone. Ma anche la necessità di un Principio Antropico, (in entrambe le sue versioni) verrebbe meno; infatti con un numero praticamente infinito di universi a disposizione, l’unicità del nostro, appare irrilevante.
E’ il vecchio problema della visione antropomorfa; tutto è centrato sull’uomo; l’intero Universo ci ruota intorno!
Scalzata questa visione, almeno per quanto riguardava la posizione della Terra, si pensò bene di farla occupare al Sole, al centro della galassia. Ci volle H. Shapley, il “Copernico galattico” per spodestare anche il Sole dal centro galattico, infatti Shapley, studiando la distribuzione degli ammassi globulari nella galassia, relegò il sistema solare in periferia. Seguendo tale linea di ragionamento potremmo forse affibbiare a E. Hubble, l’epiteto di “Copernico universale”, in quanto scopritore della generale espansione dell’universo. Potremmo definire – infine – Everett, (l’ideatore degli universi paralleli), il “Copernico del Tutto”.
Mi capita spesso di meditare su come, paradigmi durati millenni, siano potuti essere scalzati da alcuni uomini “chiave”.
Keplero, Copernico, Galileo, Newton, Einstein e altri, che si possono definire scienziati e uomini unici, hanno avuto certamente una cosa in comune: l’originalità.
Forse ai nostri giorni non sarà più possibile assistere a tanta grazia cerebrale, non perché manchino gli uomini di una certa stazza, forse è un certo tipo di “ambiente” ad essere scomparso. Per sconvolgere radicalmente il paradigma contemporaneo, abbiamo bisogno di una visione completamente differente da quella attuale, ma la ricerca si svolge sul filo di finanziamenti in grande stile, e agli scienziati in gioco non piace rischiare tutta la loro carriera sull’altare di un’idea travolgente. Questo – quando visto dalla parte del finanziatore – si traduce in un non-investimento dei fondi.
Sto cercando di dire che, se il coraggio del singolo può non venire a mancare, l’inevitabile impotenza sperimentale potrebbe segnare la fine di qualunque ricerca!
Pensiamo – tanto per fare un esempio – al SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), malgrado la sua innegabile arditezza, dipende fortemente dai fondi stanziati, quindi da enti governativi, privati e opinione pubblica. La mancanza di uno o più anelli di questa catena, diviene un’importante causa di arresto, (o ritardo) della ricerca stessa; quali implicazioni potrebbero esserci, dalla scoperta di segnali intelligenti provenienti da una civiltà aliena, (magari molto più avanzata
della nostra) per il progresso stesso della civiltà umana? Forse non lo sapremo mai.
A questo punto mi pongo un’altra domanda: e se la relatività non fosse mai nata? O la fisica quantistica? Cosa ne sarebbe oggi della nostra comprensione, (che a dire il vero non appare poi decisamente avanzata) di tutta la fisica moderna? Non sono tanto queste domande a spaventarmi, quanto le risposte.
Come scriveva (forse non a torto) Nietsche: "può anche darsi che, tutta la moderna attività scientifica sia rozza e superficiale, perché solamente ciò che è rozzo e superficiale è alla portata del nostro limitato
cervello".* E le ricerche neurologiche sembrano dargli ragione, almeno per quanto riguarda il cervello, (ci viene detto che ne utilizziamo solo una piccola frazione), ma una visione del mondo, avulsa dai luoghi comuni e scollegata dall’influenza dei tempi, appare auspicabile.
*
Queste non rappresentano le espressioni letterali del grande filosofo, quanto una mia interpretazione.
Il corsivo è mio.
Non sempre ciò che appare è ciò che è…
A questo punto, un invito a riflettere sul merito di Galileo: l’abbandono del senso comune ma – soprattutto – l’idealizzazione di un esperimento. Scomporre le diverse parti di ciò che chiamiamo “moto”, frenare la caduta degli oggetti per studiare appieno le loro proprietà, scoprendo che la resistenza dell’aria gioca un certo ruolo nei tempi di caduta degli oggetti… ma anche gli scienziati possono prendere delle cantonate; e ben vengano se possono essere riconosciute come tali…
Quando Giovanni Virginio Schiaparelli osservò alcune linee sull’etereo disco rosso del pianeta Marte, innescò – suo malgrado – una lunga storia fatta di canali di irrigazione, vegetazione e vita, marziana. Eminenti osservatori del cielo alimentarono queste storie, e non mi riferisco solamente a P. Lowell, ma anche il brillante divulgatore francese C. Flammarion sosteneva l’ipotesi della vita su altri mondi, Marte compreso. Si deve attendere l’arrivo sul pianeta rosso delle sonde americane Mariner negli anni ’60 del secolo scorso, per svelare l’arcano, anche se astronomi, come V. Cerulli, avevano dimostrato l’illusorietà dei canali, interpretandoli come delle illusioni ottiche.
Però, anche se l’ipotesi della vita marziana, legata ai canali e tutto il resto, è sostanzialmente errata, il concetto di “vita al di fuori del pianete Terra” è tutt’altro che tramontato, giustamente direi. La “morale” di questa storia è tuttavia un’altra: da lontano le cose appaiono – o possono apparire – alquanto diverse da come sono.
Le teorie sono accettate poiché riescono a tenere conto delle osservazioni, altre vengono scartate per motivazioni contrarie, ma, una teoria, può essere al massimo considerata un’approssimazione della realtà, non la realtà, allo stesso modo in cui le orme dei piedi sulla neve, non sono i piedi!
Non si dovrebbe aver paura di idee e concetti che possano apparire eretici, pensiamo alle teorie di A. Arp, che mettono in dubbio i redshift cosmologici, (secondo Arp lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso non è dovuto all’espansione dell’Universo), giuste o sbagliate che siano, fanno bene. Non è forse vero che uno dei compiti primari di quel processo che definiamo “scienza” è quello del sano dubbio? Sfidiamo il senso comune, sfidiamo il pensare classico, sfidiamo la nostra stessa salute mentale!
E poi, pensandoci bene, la teoria più accreditata sull’origine dell’Universo – sempre cha abbia un senso parlare di “origine” riferendosi all’Universo -, quella del Big Bang caldo, non è pienamente esaustiva; molte cose, (per esempio certe abbondanze cosmiche) dobbiamo farle quadrare a posteriori, prendendo per buone certe ipotesi.
Non sto affatto suggerendo di arrestare la ricerca, o di abbandonare una teoria che funziona peraltro bene, affermo semmai che non ci si dovrebbe sedere su un certo paradigma. Costruiamo una casa, e poi cerchiamo di buttarla giù, se resiste è ben costruita, questa è la scienza.
Ora, come recita un certo teorema: non possiamo conoscere a fondo un sistema se non ci poniamo al di fuori del sistema che vogliamo conoscere. Se questo teorema è esatto, vuol dire che saremo incapaci di conoscere l’Universo in cui viviamo, semplicemente perché non possiamo uscire dall’Universo! La domanda allora potrà essere: sarà poi vero che non è possibile uscire dall’Universo?
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