Pensiero

Parte quinta

In avanscoperta
La cosiddetta ghettizzazione, è un problema che affligge coloro che vivono e si confrontano con ambienti piccoli. Nei piccoli villaggi, il cameratismo e (diciamocelo pure) il campanilismo, impediscono alla mente di espandersi. L’impedimento alla visione che ne deriva, può ostacolare l’espansione del pensiero per anni e anni, basti pensare all’oscurantismo dell’epoca buia del medioevo, un oscurantismo che impediva qualsiasi forma di ragionamento, di mettere in dubbio credenze millenarie e, in special modo, l’impossibilità di confrontarsi con eminenti pensatori.
Il rinascimento non è caratterizzato soltanto dalla fuoriuscita da questo tunnel nero, ma soprattutto dalla possibilità di produrre e condividere idee e teorie, anche le più bislacche e impensate, in altri termini; la libertà di pensiero.
La conoscenza di ambienti più vasti è il migliore antidoto contro la perniciosa ghettizzazione, e la capacità di raffrontare le nostre migliori argomentazioni su questo o quell’argomento, nutrono quel senso di mistero e al contempo di sprone, che ci ha permesso di vincere le sfide per la vita, contro avversari ben più forti di noi.
I neurologi ci dicono che utilizziamo una parte molto piccola del nostro cervello e, se questo corrisponde a verità, potremo sospettare che, man mano che la portata del nostro pensiero si espande, possa crescere anche l’area di utilizzo del cervello.
È strabiliante riflettere sul fatto che alcuni primati possano usare degli utensili, oppure (pensiamo ai delfini) abbiano potuto sviluppare un complesso sistema fonetico, utilizzato per la comunicazione. Ma nonostante ciò, sono ben lontani dall’aver prodotto quello che ha saputo produrre l’essere umano, pur con tutte le sue lacune e imperfezioni.
La cosmologia rappresenta una brillante fioritura del pensiero umano, e allo stesso tempo una sfida per il nostro senso di ricerca e di mistero. Proviamo a meditare sulla visione antropomorfa che abbiamo sempre avuto nei confronti della vasta realtà che ci circonda, e di cui noi facciamo parte; l’uomo è al centro del mondo, la Terra è al centro del sistema Solare, il sole è al centro della Via Lattea e quest’ultima al centro dell’universo. Vediamo come tutto quello che ci riguarda viene posto in posizione di estrema importanza, abbiamo perfino sviluppato delle teorie che ci vedono come la causa ultima, che motiva l’intera esistenza del cosmo (principio antropico forte).

Lo studio del Tutto
Fino ad anni relativamente recenti, sulla cosmologia gravava una domanda piuttosto importante; si tratta di scienza o di filosofia? Molti di noi sono, forse, convinti di aver dato una risposta definitiva a tale quesito, rispondendo che si tratta di scienza, ma le cose sono più complicate di quel che potrebbe sembrare ad un approccio superficiale.
Ad uno sguardo olistico del cosmo, veniamo a contatto con domande tipicamente filosofiche oltre che scientifiche, fino ad arrivare la dove; filosofia, scienza e misticismo divengono quasi indistinguibili. Sono in molti a scandalizzarsi da un simile accostamento e, personalmente, non ne vedo il motivo. In fondo esistono molti modi per arrivare in cima a una montagna, non vedo il perché ci di debba scandalizzare di fronte ad un approccio differente rispetto a quello che utilizza la maggior parte di noi!

Il paradosso del singolo
Pensiamo alle conquiste fatte a partire dalla metà del secolo scorso (‘900), su come molti traguardi sia scientifici sia tecnologici siano stati sviluppati in una misura tale da essere impensabili soltanto pochi anni prima. Dall’uomo sulla Luna, alla penicillina, alla telefonia cellulare…noi tutti utilizziamo questi mirabili prodotti della mente umana e, in quanto uomini ci sentiamo (giustamente) fieri di tali conquiste.* Ma quanti di noi sono pronti a dirsi capaci di sviluppare, in maniera indipendente dal sistema in cui ci ritroviamo immersi, qualcuna delle tante meraviglie tecnologiche che utilizziamo ogni giorno senza farci troppo caso?
Siamo figli del nostro tempo e della nostra cultura, ed in quanto tali non potremmo scorporarci da tutto questo, senza pagare lo scotto dell’incapacità. Da soli in mezzo alla foresta non sapremmo costruirci una casa, con un adeguato sistema idrico e tutti i comfort in cui siamo abitualmente immersi, e non saremmo nemmeno capaci (sono pronto a scommettere un soldino) di trasmetterli a una eventuale civiltà primitiva, o, peggio ancora, se venissimo catapultati in un avventuroso viaggio nel passato. Ecco allora il “paradosso del singolo”, colui che, frutto di una civiltà tecnologicamente avanzata e culturalmente illuminata, si ritrova nell’impossibilità di ricreare, al di fuori del suo contesto, anche una minima parte di quelle condizioni esterne che formano normalmente il suo tram tram quotidiano. Forse, per dirla con Bohr, ci troviamo dinnanzi a sistemi complementari, dove singolarmente si possiedono certe qualità, che maturando nella collettività, sfociano in quello che possiamo definire “mondo moderno”; non è (apparentemente) paradossale? Assistiamo allora ad un decentramento del singolo, provando un certo imbarazzo, forse lo stesso imbarazzo che sperimentammo allorché fummo scaraventati al di fuori dell’universo tolemaico/aristotelico.
* stranamente però, sempre in quanto uomini, non ci sentiamo in imbarazzo per le cose orribili che la cosiddetta razza umana ha saputo organizzare sia per esseri appartenenti alla propria specie sia per gli altri coinquilini di questo splendido pianeta!

La visione antropomorfa
Il cosiddetto “senso comune” così utile in circostanze “normali”, risulta decisamente deleterio e inutilizzabile nel processo scientifico, (vedi la “Natura innaturale della scienza” di Lewis Wolpert, edizioni Dedalo), e questo per un motivo abbastanza semplice; nella corsa evolutiva per la sopravvivenza, serve una visione immediata, pratica quindi meno analitica e astratta, in questo contesto risulta del tutto “naturale” una visione aristotelica del mondo, rispetto a quella copernicana. Vediamo infatti il Sole che; sorge, culmina e tramonta, senza peraltro avvertire nessun moto del terreno sotto i nostri piedi. Si parla anche di “volta celeste” in relazione ad una cupola, dove la visione delle stelle risulta appiattita da distanze enormi, decisamente al di la della nostra percezione di profondità, che dà un piacevole effetto di tridimensionalità agli oggetti vicini. Da un punto di vista, forse un po’ estremo ma senz’altro pratico, conoscere la relatività o la fisica quantistica, non mi aiuta a digerire meglio il cibo rispetto a colui che le ignora, a meno di non avere problemi di salute!
La conoscenza di sistemi complessi (è vero che l’avvento del copernicanesimo semplificò di molto la cosmogonia rispetto al sistema aristotelico, ma soltanto in apparenza, come ben si rendono conto coloro che studiano la meccanica celeste, pur non scomodando il cosiddetto problema dei tre corpi), ha semmai un vantaggio sullo sviluppo del pensiero, risultando utile, per così dire, a lungo termine. In altre parole, il pensiero astratto e scientifico, è un lusso, che ci si può permettere una volta soddisfatti i bisogni primari, come avere un tetto sulla testa, mangiare e dormire.
Un contadino del ‘700 che si spaccava la schiena dall’alba al tramonto, difficilmente poteva permettersi il lusso di pensare a teoremi o a poemi letterari, queste cose erano destinate ai vari signorotti dell’epoca.
La vera difficoltà nell’accettazione di nuove visioni del mondo, il totale cambiamento di un paradigma, non risiede nella complessità delle nuove teorie, con la conseguente necessità di nuove specializzazioni, quanto a quella sensazione di disagio estremo, tipicamente umana, di sentirsi spodestati da una posizione centrale.
Ma quali sono state le rivoluzioni che ci hanno decentralizzato dai vecchi sistemi del mondo, gettandoci nel baratro della casualità?

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