Novembre 2008
 

Noi e “loro”

Poniamo come vero quanto segue: “l’osservazione astronomica necessita di un cielo cristallino e non inquinato dalle luci artificiali”; non possiamo certo dire che si tratti di una massima sbagliata ma, quando nel caso reale, ci imbattiamo sempre più frequentemente (sic!) in un cielo sempre più slavato e biancastro, quasi dipinto artificialmente da una società sempre più insensibile all’ambiente, come dobbiamo comportarci? E poi, sarà proprio vero che non possiamo spremere a dovere i nostri strumenti, traendo vantaggio e gusto dalla nostra attività di scrutatori celesti, se il cielo non è decisamente buio? Ovviamente è desiderio di chiunque sia dotato di intelletto, poter avere a disposizione un cielo cristallino e nero come la pece, tanto da veder proiettata la propria ombra alla luce di Venere! Ma bisogna fare i conti con la triste realtà di tutti i giorni o, per meglio dire, di tutte le notti, anche se una buia volta stellata da sola non è sufficiente per osservazioni proficue, ci vuole anche la giusta calma atmosferica, in altre parole un eccellente seeing, già… ma quante volte possiamo vedere realizzata con successo questa combinazione, almeno dalle nostre parti? Non è forse per questo motivo che i grossi telescopi riflettori, in montatura Dobson fanno fatica ad affermarsi nel nostro paese quando, d'altro canto, sono comuni ormai da molti anni nei vari star party d’oltre oceano. Esistono delle leggende a proposito del non sfruttamento delle grosse aperture, una di queste recita che un’apertura realmente grande non si sfrutta appieno che soltanto poche volte in un anno. Supponiamo che questa ipotesi pessimistica (e irreale) sia valida; non vale forse il dett
o “è meglio aver amato, e perso che non aver mai amato,? In fondo quando ci rechiamo in alta montagna, in special modo nella stagione fredda, e ci portiamo un maglione di lana in più (almeno agisce in tal modo chi scrive) lo si fa perché è sempre Melius abundare quam deficere, ossia meglio abbondare che trovarsi a battere irrimediabilmente i denti!
Estendendo il significato di questo bel motto latino al diametro dello strumento, possiamo constatare che una maggiore apertura, in relazione al suo effettivo utilizzo (trasporto, costo e comodità d’uso) è sempre da preferire a un’apertura più piccola.

Oggetti “impossibili” da cieli suburbani
Durante il mese di luglio di un paio di anni fa, mi ritrovavo a contemplare un cielo bianco e slavato dalla mia postazione suburbana, non potendo fare a meno di testimoniare la presenza di un Celestron 14, giacente muto e silenzioso in un angolo del balcone, quasi ad attendere chissà quale miracolo, il quale non tardò a venire, infatti si alzò il provvidenziale favonio, che spazzando la pianura padana nei mesi tipicamente estivi, ne ripulisce l’aria, accrescendo anche la trasparenza atmosferica. Inutile dire che, battendo il ferro quando è caldo, sono riuscito a osservare per tutta la settimana, dormendo poco ma.. che soddisfazione, visto che ho riempito ben venticinque pagine del mio quaderno da campo! Ho visto di tutto, dagli incantevoli ammassi aperti sparsi per la Via Lattea estiva (invisibile dalla mia postazione nonostante il vento, benché durante una nottata particolarmente limpida sono riuscito a percepirla) a numerose nebulose planetarie e, perfino alcune nebulosità oscure nello Scudo e nell’Aquila. Ma la vera sorpresa giunse dalla piccola costellazione della Freccia, riuscendo a osservare (ma sarebbe meglio dire annusare) un paio di delicati brandelli nebulosi; si tratta delle Sharpless 2-82 e Sharpless 2-84; quasi non potevo credere ai miei occhi per quello che riuscivo solo anche a intravedere, sebbene soltanto utilizzando un filtro UHC. Ecco le descrizioni;

Sharpless 2-82 - "75X+UHC – nei dintorni di due stelle abbastanza brillanti (mv 10,1/11,8) in special modo la più brillante, si osserva (dopo una certa attenzione non priva di una certa fatica) una nebulosità molto tenue e ovattata, che ricorda quella che attornia le stelle di M45”.

Sharpless 2-84
- "75X+UHC – superba; è immersa in un campo stellare degno di nota, appare (categoricamente in visione distolta e dopo parecchia attenzione) come un piccolo e tenue cirro piegato, con la curva che “guarda” una stella di mv 8,2. E’ semitrasparente ed eterea, sembra fluttuare nel vasto campo stellare”.

Vorrei riflettere su queste osservazioni; innanzitutto le condizioni del cielo, benché spazzato dal vento, quindi eccellenti, almeno stando ai normali standard della pianura padana, sono da ritenersi certamente non ottimali per osservazioni di questo genere (in condizioni migliori il guadagno è assai maggiore) ma, possiamo viaggiare ogni sera verso una sperduta vetta montana? Non avendo a nostra disposizione un cielo da deserto, dovremmo, in base ad alcuni ragionamenti puramente ideali, rinunciare all’osservazione astronomica! Ma, ed ecco la domanda cruciale che avevo in mente sin dall’inizio; non ci ferma più l’atteggiamento mentale che le pessime condizioni del fondo cielo?! La forma mentis gioca un ruolo più importante di quello che possiamo pensare e, se è vero come è vero, che l’osservazione è un processo che interessa il sistema occhio-cervello, possiamo affermare che un atteggiamento negativo crei più danni dell’inquinamento luminoso. Solo un occhio allenato riesce a percepire certe sfumature, e l’allenamento lo si ottiene con la pratica, fatta sotto qualunque cielo e con aperture più disparate. Penso che le descrizioni sopra riportate dimostrino quanto fin ora affermato, e che basti attendere determinate condizioni atmosferiche per poter fruire di certe visioni.
Recentemente, allo star party di Caprauna, mi è capitato di discutere con alcuni amici (eccellenti astroimagers) del valore dell’osservazione visuale. Costoro affermavano – correttamente – di riuscire a immortalare con il sensore digitale, dettagli impensabili da scorgere visualmente; “a noi resta un’immagine da conservare, a te cosa resta?” mi dicevano… “l’immagine dei tesori celesti che entra nei miei occhi e nella mia mente, la porto sempre con me, nel mio spirito!”, fu la risposta, che lasciò attoniti i miei interlocutori.
 
Prarotto d’estate…
Quando mi reco in quota per fare le mie osservazioni scelgo due differenti destinazioni a seconda della stagione; Prarotto (1500 m) in primavera/autunno/inverno, Colle del Nivolet (2600 m) d’estate. Mi sono sempre rifiutato di recarmi a Prarotto d’estate, nonostante la relativa vicinanza a casa (circa 50’ d’auto) per un motivo alquanto banale; tempo fa alcuni amici astrofotografi, mi dissero che essendosi recati proprio a Prorotto durante i mesi estivi, sono rimasti delusi dalla scarsa qualità del cielo. Questo può essere paradossalmente vero, specie quando tira vento, il quale rendendo il cielo cristallino, permette alle luci della vicina Condove, di rischiarare il cielo fin su in montagna. Ma in estate, le condizioni di alta pressione (purtroppo quella sud-tropicale che ci fa boccheggiare) sono abbastanza frequenti, rendendo il cielo a bassa quota una cappa irrespirabile ma, proprio queste condizioni si rivelano ideali per andare in montagna, in quanto attutendo notevolmente le luci sottostanti, funzionano da filtro contro l’inquinamento luminoso.
Mi è capitato recentemente di recarmi proprio a Prarotto nel mese di giugno di quest'anno, per provare un grosso binocolo Fujinon 25X150, notando in realtà un cielo bellissimo, con una Via Lattea scolpita quasi fino all’orizzonte. Ovviamente le osservazioni che ho potuto fare con il “mostro” hanno lasciato un segno indelebile nella mia mente, riuscendo a notare particolari tipicamente fotografici su molti oggetti celesti estesi.
Questa piacevole sorpresa è stata per me una bella lezione, che posso riassumere brevemente come:
Accertarsi in prima persona quanto riportato (anche se in buonissima fede) da altri.
Non giudicare troppo in fretta un sito osservativo, ma provarlo in diverse circostanze.
Avere a disposizione una località con un buon cielo (anche se non paragonabile a quello di un deserto) a meno di un’ora dalla propria abitazione, ci mette nella condizione di poter effettuare più uscite mensili.
 
A chi non si accontenta, accampando ipotesi “tecniche” su dati numerici ideali, possiamo sempre dire di recarsi nel deserto del Sahara per effettuare le proprie osservazioni, ma sono pronto a scommettere un soldino, che per una siffatta persona, l’idilliaco cielo desertico risulterebbe un puro spreco di tempo, perché costui ha totalmente frainteso lo spirito dell’osservazione astronomica!

 

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