Noi e “loro”
Poniamo come vero quanto segue: “l’osservazione astronomica necessita
di un cielo cristallino e non inquinato dalle luci artificiali”; non
possiamo certo dire che si tratti di una massima sbagliata ma,
quando nel caso reale, ci imbattiamo sempre più frequentemente
(sic!) in un cielo sempre più slavato e biancastro, quasi dipinto
artificialmente da una società sempre più insensibile all’ambiente,
come dobbiamo comportarci? E poi, sarà proprio vero che non possiamo
spremere a dovere i nostri strumenti, traendo vantaggio e gusto dalla nostra
attività di scrutatori celesti, se il cielo non è decisamente buio?
Ovviamente è desiderio di chiunque sia dotato di intelletto, poter
avere a disposizione un cielo cristallino e nero come la pece, tanto
da veder proiettata la propria ombra alla luce di Venere! Ma bisogna
fare i conti con la triste realtà di tutti i giorni o, per meglio
dire, di tutte le notti, anche se una buia volta stellata da sola
non è sufficiente per osservazioni proficue, ci vuole anche la
giusta calma atmosferica, in altre parole un eccellente seeing, già…
ma quante volte possiamo vedere realizzata con successo questa
combinazione, almeno dalle nostre parti? Non è forse per questo
motivo che i grossi telescopi riflettori, in montatura Dobson fanno
fatica ad affermarsi nel nostro paese quando, d'altro canto, sono
comuni ormai da molti anni nei vari star party d’oltre oceano.
Esistono delle leggende a proposito del non sfruttamento delle
grosse aperture, una di queste recita che un’apertura realmente
grande non si sfrutta appieno che soltanto poche volte in un anno.
Supponiamo che questa ipotesi pessimistica (e irreale) sia valida;
non vale forse il detto “è
meglio aver amato, e perso che non aver mai amato”,?
In fondo quando ci rechiamo in alta montagna, in special modo nella
stagione fredda, e ci portiamo un maglione di lana in più (almeno
agisce in tal modo chi scrive) lo si fa perché è sempre
Melius abundare quam
deficere, ossia meglio abbondare che trovarsi a battere
irrimediabilmente i denti!
Estendendo il significato di questo bel motto latino al diametro
dello strumento, possiamo constatare che una maggiore apertura, in
relazione al suo effettivo utilizzo (trasporto, costo e comodità
d’uso) è sempre da preferire a un’apertura più piccola.
Oggetti “impossibili” da cieli suburbani
Durante il mese di luglio di un paio di anni fa, mi ritrovavo a
contemplare un cielo bianco e slavato dalla mia postazione
suburbana, non potendo fare a meno di testimoniare la presenza di un Celestron 14,
giacente muto e silenzioso in un angolo del balcone, quasi ad
attendere chissà quale miracolo, il quale non tardò a venire,
infatti si alzò il provvidenziale favonio, che spazzando la pianura
padana nei mesi tipicamente estivi, ne ripulisce l’aria, accrescendo
anche la trasparenza atmosferica. Inutile dire che, battendo il
ferro quando è caldo, sono riuscito a osservare per tutta la
settimana, dormendo poco ma.. che soddisfazione, visto che ho
riempito ben venticinque pagine del mio quaderno da campo! Ho visto
di tutto, dagli incantevoli ammassi aperti sparsi per la Via Lattea
estiva (invisibile dalla mia postazione nonostante il vento, benché
durante una nottata particolarmente limpida sono riuscito a
percepirla) a numerose nebulose planetarie e, perfino alcune
nebulosità oscure nello Scudo e nell’Aquila. Ma la vera sorpresa
giunse dalla piccola costellazione della Freccia, riuscendo a
osservare (ma sarebbe meglio dire annusare) un paio di delicati
brandelli nebulosi; si tratta delle Sharpless 2-82 e Sharpless 2-84;
quasi non potevo credere ai miei occhi per quello che riuscivo solo
anche a intravedere, sebbene soltanto utilizzando un filtro UHC.
Ecco le descrizioni;
Sharpless 2-82
-
"75X+UHC – nei dintorni di due stelle abbastanza
brillanti (mv 10,1/11,8) in special modo la più brillante, si
osserva (dopo una certa attenzione non priva di una certa fatica)
una nebulosità molto tenue e ovattata, che ricorda quella che
attornia le stelle di M45”.
Sharpless 2-84 -
"75X+UHC – superba; è immersa in un campo stellare
degno di nota, appare (categoricamente in visione distolta e dopo
parecchia attenzione) come un piccolo e tenue cirro piegato, con la
curva che “guarda” una stella di mv 8,2. E’ semitrasparente ed
eterea, sembra fluttuare nel vasto campo stellare”.
Vorrei riflettere su queste osservazioni; innanzitutto le condizioni
del cielo, benché spazzato dal vento, quindi eccellenti, almeno
stando ai normali standard della pianura padana, sono da ritenersi
certamente non ottimali per osservazioni di questo genere (in
condizioni migliori il guadagno è assai maggiore) ma, possiamo
viaggiare ogni sera verso una sperduta vetta montana? Non avendo a
nostra disposizione un cielo da deserto, dovremmo, in base ad alcuni
ragionamenti puramente ideali, rinunciare all’osservazione
astronomica! Ma, ed ecco la domanda cruciale che avevo in mente sin
dall’inizio; non ci ferma più l’atteggiamento mentale che le pessime
condizioni del fondo cielo?! La forma mentis gioca un ruolo
più importante di quello che possiamo pensare e, se è vero come è vero, che
l’osservazione è un processo che interessa il sistema occhio-cervello, possiamo
affermare che un atteggiamento negativo crei più danni
dell’inquinamento luminoso. Solo un occhio allenato riesce a
percepire certe sfumature, e l’allenamento lo si ottiene con la
pratica, fatta sotto qualunque cielo e con aperture più disparate.
Penso che le descrizioni sopra riportate dimostrino quanto fin ora
affermato, e che basti attendere determinate condizioni atmosferiche
per poter fruire di certe visioni.
Recentemente, allo star party di Caprauna, mi è capitato di
discutere con alcuni amici (eccellenti astroimagers) del valore
dell’osservazione visuale. Costoro affermavano – correttamente – di
riuscire a immortalare con il sensore digitale, dettagli impensabili
da scorgere visualmente; “a noi resta un’immagine da conservare, a
te cosa resta?” mi dicevano… “l’immagine dei tesori celesti che
entra nei miei occhi e nella mia mente, la porto sempre con me, nel
mio spirito!”, fu la risposta, che lasciò attoniti i miei
interlocutori.
Prarotto d’estate…
Quando mi reco in quota per fare le mie osservazioni scelgo due
differenti destinazioni a seconda della stagione; Prarotto (1500 m)
in primavera/autunno/inverno, Colle del Nivolet (2600 m) d’estate. Mi sono
sempre rifiutato di recarmi a Prarotto d’estate, nonostante la
relativa vicinanza a casa (circa 50’ d’auto) per un motivo alquanto
banale; tempo fa alcuni amici astrofotografi, mi dissero che
essendosi recati proprio a Prorotto durante i mesi estivi, sono
rimasti delusi dalla scarsa qualità del cielo. Questo può essere
paradossalmente vero, specie quando tira vento, il quale rendendo il
cielo cristallino, permette alle luci della vicina Condove, di
rischiarare il cielo fin su in montagna. Ma in estate, le condizioni
di alta pressione (purtroppo quella sud-tropicale che ci fa
boccheggiare) sono abbastanza frequenti, rendendo il cielo a bassa
quota una cappa irrespirabile ma, proprio queste condizioni si
rivelano ideali per andare in montagna, in quanto attutendo
notevolmente le luci sottostanti, funzionano da filtro contro
l’inquinamento luminoso.
Mi è capitato recentemente di recarmi proprio a Prarotto nel mese di
giugno di quest'anno, per provare un grosso binocolo Fujinon 25X150, notando in realtà un
cielo bellissimo, con una Via Lattea scolpita quasi fino
all’orizzonte. Ovviamente le osservazioni che ho potuto fare con il
“mostro” hanno lasciato un segno indelebile nella mia mente,
riuscendo a notare particolari tipicamente fotografici su molti
oggetti celesti estesi.
Questa piacevole sorpresa è stata per me una bella lezione, che
posso riassumere brevemente come:
•
Accertarsi in prima persona quanto riportato (anche se in
buonissima fede) da altri.
• Non giudicare troppo in fretta un sito osservativo, ma provarlo in
diverse circostanze.
•
Avere a disposizione una località con un buon cielo (anche se non
paragonabile a quello di un deserto) a meno di un’ora dalla propria
abitazione, ci mette nella condizione di poter effettuare più uscite
mensili.
A chi non si accontenta, accampando ipotesi “tecniche” su dati
numerici ideali, possiamo sempre dire di recarsi nel deserto del
Sahara per effettuare le proprie osservazioni, ma sono pronto a
scommettere un soldino, che per una siffatta persona, l’idilliaco
cielo desertico risulterebbe un puro spreco di tempo, perché costui
ha totalmente frainteso lo spirito dell’osservazione astronomica!
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