Generalmente nel mese di maggio
ogni osservazione è estremamente preziosa, non che negli altri mesi non lo sia,
ma in base a una mia personale statistica, questo è uno dei meno
sfruttabili da un punto di vista astronomico. Con la costellazione della Vergine
bella alta in meridiano, la tentazione di gustare le luminose galassie che
ci mette a disposizione è irresistibile. Ricordo in proposito, una bella nottata
a 1600 M con il binocolo Vixen 20X125; partendo dalla cosiddetta “cintura di
Markarian”, mi sono spazzolato una decina di galassie, partendo da M84 e
M86,
sembrava di guardare in una grande lastra di Schmidt! Ma procediamo con ordine.
Sono state scoperte entrambe da Messier nel 1781, anno in cui inserì nel suo
celebre catalogo ben altre sette galassie dell’ammasso della Vergine. Si
collocano in una ricca zona centrale di tale ammasso: sembrano due occhietti
nebulosi, con M84, posta più a ovest, sferica e brillante. M86 è una galassia
ellittica gigante del tipo E3 (c’è chi la ritiene di tipo S0) con un grande
corteo di ammassi globulari, anche se meno cospicuo rispetto alla galassia M87.
Verso nord/est, praticamente a ridosso, ha una debole compagna, una ellittica
nana. Queste galassie si possono osservare con strumenti dal diametro modesto e
in tutte le condizioni di cielo; osservandole nel corso di vari anni,
praticamente con ogni tipo di strumentazione e sotto condizioni di pesante
inquinamento luminoso, mi sono formato l’opinione che il solo serio ostacolo,
che ne può impedire l’identificazione, è un cielo totalmente coperto!
Generalmente la visione di galassie ellittiche, anche se di buona luminosità,
risulta poco entusiasmante (anche se non si può rimanere impassibili dinnanzi a
oggetti così grandi e distanti), ma ci sono alcune eccezioni.
Essendo membri di un ricco ammasso di galassie, risultano degli utili “cartelli
stradali” per rintracciare innumerevoli altre galassie poste nelle vicinanze. Messier ne riportò la
seguente descrizione, nel Marzo del 1781; “d’aspetto simile si mostrano entrambe
nel medesimo campo dell’oculare del telescopio”. Riferendosi a ogni singola
galassia come “nebulosa senza stelle nella Vergine”. È interessante notare come
un’affermazione del genere sia del tutto scontata ai nostri giorni, mentre non
lo era a quei tempi, in quanto si credeva che le
"nebulose" (classificazione che si dava anche alle galassie) fossero tutte risolvibili in stelle, bastava
solamente far crescere il diametro
del telescopio per risolvere in stelle qualunque nebulosa. Se, per quanto riguarda le galassie questa affermazione
può anche essere vera,
risulta del tutto fuori luogo quando ci si riferisce alle nebulose gassose, in quanto anche con un
telescopio da 100 metri di diametro, la nebulosa M42 rimarrebbe tale!
Vorrei a questo punto mettere l’accento su un aspetto interessante
dell’osservazione visuale del cielo profondo; la capacità di staccare un oggetto
debole dipende, oltre che dalla magnitudine apparente dell'oggetto, anche dal
suo rapporto segnale/rumore, che potremmo definire come il contrasto tra
l’oggetto e il fondo cielo. Proviamo a fare un piccolo esperimento avvalendoci
di queste due galassie; la prima (M84) ha una mv di 9,4, una luminosità
superficiale pari a 13,3 e una dimensione angolare di 6,5’x5,6’. M86, ha una mv
pari a 9, una luminosità superficiale di 13,2 e 8,9’x5,8’ di dimensioni
angolari. Valori non molto dissimili, eccetto per le dimensioni più generose
della seconda.
Proviamo dunque a osservare questi due “occhi accesi nell’infinito” con
un’apertura da 100 mm, anche sotto un cielo relativamente inquinato (mv limite
intorno alla 3° allo zenit). Potremo notare la relativa facilità con la quale si
evidenziano rispetto ad un fondo cielo pur relativamente lattiginoso. Nelle medesime
condizioni di trasparenza atmosferica, si provi a puntare la galassia
M61 (ovviamente con lo stesso strumento) che ha mv 9,6, una
luminosità superficiale di 13,4 e una dimensione angolare di 6,5’x5,8’. Si potrà
notare che la visibilità di quest’ultima, nonostante la mv simile alle due
ellittiche, sia notevolmente compromessa, perché? Un oggetto compatto mantiene
un rapporto segnale/umore più alto rispetto a un oggetto avente luminosità più
dispersa; invito a sperimentare direttamente sul cielo quanto appena affermato.
Al crescere delle dimensioni dello strumento, si nota una mancanza di
particolari, ma anche una maggiore luminosità, una regione nucleare più
circoscritta e un alone più vasto e diffuso. Non è vero che una grande apertura
risulti sprecata per le galassie ellittiche.
Personalmente, quando contemplo queste galassie, rimango colpito dalla loro
relativa facilità di osservazione in relazione alla notevole distanza che ci
separa. Si afferma, correttamente, che l’osservazione del cielo avviene
nell’occhio e (soprattutto) nel cervello, ma anche la mente svolge un suo ruolo
tutt’altro che trascurabile. Non bisognerebbe ignorare che, per esempio,
conoscere quello che si osserva non può far altro che accrescere sia la bellezza
sia la profondità di ciò che fa bella mostra di se nel campo oculare. Come
esseri umani siamo, allo stesso tempo meravigliati e spaventati dall’ignoto. Il
buio cosmico, la relativa delicatezza di un bagliore affievolito da una distanza
di milioni d’anni luce e la consapevolezza di condividere con l’oggetto
osservato soltanto un’istantanea della sua vasta esistenza, rendono ogni
osservazione estremamente preziosa nonchè unica. Abituiamoci a
pensare quando osserviamo. Buone osservazioni.
|