La difficoltà aguzza l’ingegno
Si fa un gran
parlare dell’osservazione astronomica, a tutti i livelli, ponendo l’accento
sulla qualità del cielo, dello strumento e di quant’altro, tutte cose sacrosante
ma, a mio avviso, viene trascurato un aspetto assai importante; la preparazione
e il mantenimento di una certa forma, anche fisica (non solo una forma mentis) atta a
migliorare la nostra attività di osservatori visuali.
Ho letto da qualche parte (su un vecchio numero di Sky & Telescope) il consiglio
di non osservare quando si è affamati!
C’è chi potrebbe definire tale consiglio un tantinello esagerato, ma siamo
proprio sicuri che è così? Ovviamente questo discorso lo si può applicare
solamente a coloro che prestano una certa attenzione a questa attività, che non
si limitano cioè a gozzovigliare, dando una “sbirciatina” qua e la, tre volte
l’anno. È un po’ come parlare dei limiti di una guida da campionato mondiale di
Formula uno a colui che utilizza l’auto per comprare il pane, attraversando non
più di due quartieri!
Ho recentemente sentito un amico, esperto osservatore visuale del cielo profondo da
molti anni, e chiacchierando mi diceva di essersi accorto di un miglioramento
del 40% nella sua resa di percepire gli oggetti deboli all’oculare del
telescopio, semplicemente osservando in una comoda posizione; da seduto!
Proviamo a riflettere sul significato di questa affermazione. Per accorgersi di
un simile miglioramento bisogna osservare con metodo, imparando a conoscere
quelli che sono i nostri limiti visuali, in diverse circostanze come: la qualità
del cielo, la diversa apertura del telescopio, l'utilizzo di accessori differenti, ma non
solo, anche la stanchezza, il freddo, la scomodità stessa dell’osservazione
(pensiamo per esempio quanto possa risultare fastidiosa la situazione che vede
l'appannarsi dell'oculare, semplicemente nell'atto di adagiarci l'occhio sopra!)
sono elementi che possono concorrere a migliorare (o sminuire) la qualità della
nostra attività. Annotare quello che si osserva all’oculare del telescopio,
registrando anche le più minute variazioni rispetto a un’osservazione
precedente, ci mette in condizione di fare due cose molto interessanti:
1. Rendere condivisibili e confrontabili, le nostre osservazioni, con
osservazioni altrui.
2. Imparare a conoscere quali sono i nostri limiti percettivi e, cosa assai più
importante, riconoscere un semplice fatto (ma assai trascurato); non possiamo
fissare dei limiti alle nostre osservazioni, fare una cosa del genere equivale a
“ingabbiare” la nostra sensibilità visiva.
Posso portare un esempio; a chi ha la pazienza di seguirmi durante le mie serate
d'osservazione astronomiche, mi ritrovo a ripetere alcuni consigli pratici, atti
a migliorare la nostra percezione degli oggetti deboli, come osservare tenendo l’occhio inattivo aperto, magari coperto con la mano
(a coppa per non schiacciare l’occhio). Di tenere una postura del corpo più
naturale possibile. Di sgranchirsi le gambe ogni mezzora circa (facendo qualche
esercizio ginnico semplice). Di “staccare la spina” per evitare di logorarsi con
un’eccessiva attenzione. Di “credere” di vedere o di non vedere un oggetto al
limite della serata, riconfermandolo (o smentendolo) successivamente, per evitare di cadere in “errori da aspettativa”. E tante
altre cosette ancora.
Sulle prime, mi si etichetta come pignolo o esagerato, ma il tempo da senz’altro
ragione a tali pratiche, in quanto riusciremo a percepire oggetti che credevamo
semplicemente impossibili da osservare con il nostro strumento, aiutati anche da
un’immancabile certa “letteratura scientifica” che ci blinda, regalandoci
“benevolmente” dei limiti impossibili, e dei quali diventiamo (purtroppo)
vittime se siamo privi di una nostra struttura pratica.
Per esempio, l’osservazione degli oggetti deboli, non può prescindere da un
corretto adattamento al buio, ma una mancanza di vitamina A può influenzare la
nostra resa visiva, in condizioni di scarsa luminosità (qual è appunto l’osservazione
telescopica). Anche l’alcol può farlo, l’altitudine, il fumo, un’eccessiva
esposizioni alla luce solare e persino una mancanza di attività fisica!
Parlando con un caro amico organista, il quale svolge un'attività professionale esibendosi in concerti
di musica classica (recentemente è uscito un suo cd musicale), si discuteva
sull’importanza dei tanti fattori che, apparentemente, sono distanti dalla nostra
attività, ma che risultano vitali nella massima resa durante i concerti, nel suo
caso (come l’allenamento giornaliero costante) e delle nostre nottate trascorse
all’oculare del nostro fidato telescopio.
In definitiva osservare è un arte, alla quale sicuramente bisogna anche esser
predisposti, ma è indispensabile coltivarla, allenarla e impararne a conoscere
gli aspetti che la possano migliorare. Ma soprattutto, imparare a valutare in
prima persona quello che siamo in grado di osservare all’oculare del nostro
strumento, per evitare di essere “smontati” dal cosiddetto “esperitone” di
turno, che discute di tanta teoria, ma è assai scarno da un punto di vista
irrinunciabile; una corretta pratica! |