GENNAIO 2008
 

La difficoltà aguzza l’ingegno

 

Si fa un gran parlare dell’osservazione astronomica, a tutti i livelli, ponendo l’accento sulla qualità del cielo, dello strumento e di quant’altro, tutte cose sacrosante ma, a mio avviso, viene trascurato un aspetto assai importante; la preparazione e il mantenimento di una certa forma, anche fisica (non solo una forma mentis) atta a migliorare la nostra attività di osservatori visuali.
Ho letto da qualche parte (su un vecchio numero di Sky & Telescope) il consiglio di non osservare quando si è affamati!
C’è chi potrebbe definire tale consiglio un tantinello esagerato, ma siamo proprio sicuri che è così? Ovviamente questo discorso lo si può applicare solamente a coloro che prestano una certa attenzione a questa attività, che non si limitano cioè a gozzovigliare, dando una “sbirciatina” qua e la, tre volte l’anno. È un po’ come parlare dei limiti di una guida da campionato mondiale di Formula uno a colui che utilizza l’auto per comprare il pane, attraversando non più di due quartieri!
Ho recentemente sentito un amico, esperto osservatore visuale del cielo profondo da molti anni, e chiacchierando mi diceva di essersi accorto di un miglioramento del 40% nella sua resa di percepire gli oggetti deboli all’oculare del telescopio, semplicemente osservando in una comoda posizione; da seduto!
Proviamo a riflettere sul significato di questa affermazione. Per accorgersi di un simile miglioramento bisogna osservare con metodo, imparando a conoscere quelli che sono i nostri limiti visuali, in diverse circostanze come: la qualità del cielo, la diversa apertura del telescopio, l'utilizzo di accessori differenti, ma non solo, anche la stanchezza, il freddo, la scomodità stessa dell’osservazione (pensiamo per esempio quanto possa risultare fastidiosa la situazione che vede l'appannarsi dell'oculare, semplicemente nell'atto di adagiarci l'occhio sopra!) sono elementi che possono concorrere a migliorare (o sminuire) la qualità della nostra attività. Annotare quello che si osserva all’oculare del telescopio, registrando anche le più minute variazioni rispetto a un’osservazione precedente, ci mette in condizione di fare due cose molto interessanti:
 

1. Rendere condivisibili e confrontabili, le nostre osservazioni, con osservazioni altrui.

2. Imparare a conoscere quali sono i nostri limiti percettivi e, cosa assai più importante, riconoscere un semplice fatto (ma assai trascurato); non possiamo fissare dei limiti alle nostre osservazioni, fare una cosa del genere equivale a “ingabbiare” la nostra sensibilità visiva.

Posso portare un esempio; a chi ha la pazienza di seguirmi durante le mie serate d'osservazione astronomiche, mi ritrovo a ripetere alcuni consigli pratici, atti a migliorare la nostra percezione degli oggetti deboli, come osservare tenendo l’occhio inattivo aperto, magari coperto con la mano (a coppa per non schiacciare l’occhio). Di tenere una postura del corpo più naturale possibile. Di sgranchirsi le gambe ogni mezzora circa (facendo qualche esercizio ginnico semplice). Di “staccare la spina” per evitare di logorarsi con un’eccessiva attenzione. Di “credere” di vedere o di non vedere un oggetto al limite della serata, riconfermandolo (o smentendolo) successivamente, per evitare di cadere in “errori da aspettativa”. E tante altre cosette ancora.
Sulle prime, mi si etichetta come pignolo o esagerato, ma il tempo da senz’altro ragione a tali pratiche, in quanto riusciremo a percepire oggetti che credevamo semplicemente impossibili da osservare con il nostro strumento, aiutati anche da un’immancabile certa “letteratura scientifica” che ci blinda, regalandoci “benevolmente” dei limiti impossibili, e dei quali diventiamo (purtroppo) vittime se siamo privi di una nostra struttura pratica.
Per esempio, l’osservazione degli oggetti deboli, non può prescindere da un corretto adattamento al buio, ma una mancanza di vitamina A può influenzare la nostra resa visiva, in condizioni di scarsa luminosità (qual è appunto l’osservazione telescopica). Anche l’alcol può farlo, l’altitudine, il fumo, un’eccessiva esposizioni alla luce solare e persino una mancanza di attività fisica!
Parlando con un caro amico organista, il quale svolge un'attività professionale esibendosi in concerti di musica classica (recentemente è uscito un suo cd musicale), si discuteva sull’importanza dei tanti fattori che, apparentemente, sono distanti dalla nostra attività, ma che risultano vitali nella massima resa durante i concerti, nel suo caso (come l’allenamento giornaliero costante) e delle nostre nottate trascorse all’oculare del nostro fidato telescopio.
In definitiva osservare è un arte, alla quale sicuramente bisogna anche esser predisposti, ma è indispensabile coltivarla, allenarla e impararne a conoscere gli aspetti che la possano migliorare. Ma soprattutto, imparare a valutare in prima persona quello che siamo in grado di osservare all’oculare del nostro strumento, per evitare di essere “smontati” dal cosiddetto “esperitone” di turno, che discute di tanta teoria, ma è assai scarno da un punto di vista irrinunciabile; una corretta pratica!

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