Quanto conta il “fattore
esperienza”?
Mi è arrivata all’orecchio (recentemente) la voce di alcuni cosiddetti
“astrofili osservatori”, il quali avrebbero affermato (con una certa
perentorietà) che il cosiddetto “fattore esperienza” non conti poi tanto
nell’osservazione telescopica.
Da questo ne deduco che; o chi ha fatto questa affermazione, stesse (come mi
auguro) scherzando o, nella peggiore delle ipotesi, ignori totalmente
l’osservazione diretta, basando la sua “conoscenza” puramente dalla teoria.
Nella realtà basta anche una certa – minima – praticaccia, per accorgersi
dell’estrema importanza di un adeguato allenamento all’oculare del telescopio,
per riuscire a cogliere deboli oggetti celesti, e in alcuni casi, non esser
capaci neppure a intravederli. Sono numerose le testimonianze di osservatori
occasionali che, accingendosi a osservare il pianeta Giove, quando è presente la
sua famosa G.M.R. (Grande Macchia Rossa) non riescano neppure a intuirla quando,
all’estremo opposto c’è chi la vede chiaramente strutturata! Dove risiederebbe
il motivo di questa differenza se non nel “fattore esperienza”?
In altri termini, l’esperienza serve come elemento per distinguere i dettagli
telescopici, così “innaturali” dal punto di vista di quella visione che potremmo
definire “normale”, permettendo al sistema occhio/cervello di districarsi in
quella marea intricata che è l’osservazione di oggetti così (nel vero senso del
termine) alieni.
Si tenga presente che, il cosiddetto osservatore di razza, all’inizio della sua
carriera di scrutatore del cielo notturno, è probabilmente capace di osservare
dettagli al limite, e questo sembrerebbe minare le basi del fattore esperienza,
ma solo apparentemente. Anche l’osservatore provetto ha bisogno dell’esperienza
per decifrare (facendo in modo che il suo cervello riesca a riconoscere come
tali) leggerissime cadute d luce intorno al nucleo di certe galassie,
distinguere la delicata struttura spiraliforme (con l’apertura adeguata) di
oggetti come la galassia M101 o M33 o ancora M74, tanto per citarne alcune non
propriamente facili.
Una settimana fa, ci ritrovammo a osservare sotto un bel cielo, a 1600 m. con
altri astrofili, alcuni dei quali principianti, altri, pur avendo un’attività
decennale, sono a conti fatti, degli “eterni principianti” in quanto non
variando mai il menù degli oggetti da osservare durante la serata, e riducendo
la frequenza delle osservazioni a poche uscite all’anno, non fanno i necessari
progressi (non maturando la necessaria esperienza) risultano incapaci di
distinguere quegli oggetti celesti che escono al di fuori del loro orticello
conosciuto. Ho potuto rendermi conto della validità di quanto or ora affermato,
confrontando direttamente sul campo due amici che, avendo iniziato praticamente
nello stesso periodo (circa dieci anni fa), ma appartenendo l’uno agli
“astrofili in pantofole” che punta praticamente gli stessi oggetti, l’altro (il
mio compagno d’osservazioni) a coloro che si “cavano gli occhi” su oggetti
decisamente elusivi, dimostrarono due sensibilità visive decisamente differenti,
con il primo che non riusciva a distinguere (all’oculare del mezzo metro)
nemmeno la nebulosità che circonda la stella Merope, NGC 1435, e il secondo in
grado di cogliere galassie di mv 15! Prima di salutarci, vorrei porre la vostra
attenzione su un altro paio di elementi di riflessione, prendendo spunto da
quella serata, consideriamo quanto segue:
Osservando un’interessante gruppetto di quattro galassie nei Pesci (il gruppo di
NGC 382), chi scrive, assieme al suo “socio” li vedeva tranquillamente tutte e
quattro. Udendo la mia voce descriverle (utilizzando il mio fidato registratore
portatile) alcuni amici, incuriositi da quello che dicevo, chiesero se potevano
dare uno sguardo nell’oculare del mezzo metro. Furono in cinque a osservare; due
poco esperti, colui che iniziò circa dieci anni fa assieme al mio compagno
abituale di osservazioni, un ragazzo poco più che principiante e suo papà, un
semplice curioso. I due “poco esperti”, il curioso e chi ha iniziato dieci anni
fa (ma si è limitato a osservicchiare sempre gli stessi facili oggetti)
riuscirono a vedere soltanto le numerose stelline di campo, mentre il ragazzo
poco più che principiante, che però svolge un’attività più regolare, ne vide
due! Quest’ultimo punto mette a nudo un altro interessante aspetto
dell’osservazione astronomica; la frequenza e la regolarità assumono
un’importanza estrema nella capacità di rilevare oggetti deboli. In definitiva,
il “fattore” esperienza è un elemento imprescindibile per chi desidera godere
delle eteree bellezze del cielo stellato. |