DICEMBRE 2007
 

Quanto conta il “fattore esperienza”?


Mi è arrivata all’orecchio (recentemente) la voce di alcuni cosiddetti “astrofili osservatori”, il quali avrebbero affermato (con una certa perentorietà) che il cosiddetto “fattore esperienza” non conti poi tanto nell’osservazione telescopica.
Da questo ne deduco che; o chi ha fatto questa affermazione, stesse (come mi auguro) scherzando o, nella peggiore delle ipotesi, ignori totalmente l’osservazione diretta, basando la sua “conoscenza” puramente dalla teoria.
Nella realtà basta anche una certa – minima – praticaccia, per accorgersi dell’estrema importanza di un adeguato allenamento all’oculare del telescopio, per riuscire a cogliere deboli oggetti celesti, e in alcuni casi, non esser capaci neppure a intravederli. Sono numerose le testimonianze di osservatori occasionali che, accingendosi a osservare il pianeta Giove, quando è presente la sua famosa G.M.R. (Grande Macchia Rossa) non riescano neppure a intuirla quando, all’estremo opposto c’è chi la vede chiaramente strutturata! Dove risiederebbe il motivo di questa differenza se non nel “fattore esperienza”?
In altri termini, l’esperienza serve come elemento per distinguere i dettagli telescopici, così “innaturali” dal punto di vista di quella visione che potremmo definire “normale”, permettendo al sistema occhio/cervello di districarsi in quella marea intricata che è l’osservazione di oggetti così (nel vero senso del termine) alieni.
Si tenga presente che, il cosiddetto osservatore di razza, all’inizio della sua carriera di scrutatore del cielo notturno, è probabilmente capace di osservare dettagli al limite, e questo sembrerebbe minare le basi del fattore esperienza, ma solo apparentemente. Anche l’osservatore provetto ha bisogno dell’esperienza per decifrare (facendo in modo che il suo cervello riesca a riconoscere come tali) leggerissime cadute d luce intorno al nucleo di certe galassie, distinguere la delicata struttura spiraliforme (con l’apertura adeguata) di oggetti come la galassia M101 o M33 o ancora M74, tanto per citarne alcune non propriamente facili.
Una settimana fa, ci ritrovammo a osservare sotto un bel cielo, a 1600 m. con altri astrofili, alcuni dei quali principianti, altri, pur avendo un’attività decennale, sono a conti fatti, degli “eterni principianti” in quanto non variando mai il menù degli oggetti da osservare durante la serata, e riducendo la frequenza delle osservazioni a poche uscite all’anno, non fanno i necessari progressi (non maturando la necessaria esperienza) risultano incapaci di distinguere quegli oggetti celesti che escono al di fuori del loro orticello conosciuto. Ho potuto rendermi conto della validità di quanto or ora affermato, confrontando direttamente sul campo due amici che, avendo iniziato praticamente nello stesso periodo (circa dieci anni fa), ma appartenendo l’uno agli “astrofili in pantofole” che punta praticamente gli stessi oggetti, l’altro (il mio compagno d’osservazioni) a coloro che si “cavano gli occhi” su oggetti decisamente elusivi, dimostrarono due sensibilità visive decisamente differenti, con il primo che non riusciva a distinguere (all’oculare del mezzo metro) nemmeno la nebulosità che circonda la stella Merope, NGC 1435, e il secondo in grado di cogliere galassie di mv 15! Prima di salutarci, vorrei porre la vostra attenzione su un altro paio di elementi di riflessione, prendendo spunto da quella serata, consideriamo quanto segue:
Osservando un’interessante gruppetto di quattro galassie nei Pesci (il gruppo di NGC 382), chi scrive, assieme al suo “socio” li vedeva tranquillamente tutte e quattro. Udendo la mia voce descriverle (utilizzando il mio fidato registratore portatile) alcuni amici, incuriositi da quello che dicevo, chiesero se potevano dare uno sguardo nell’oculare del mezzo metro. Furono in cinque a osservare; due poco esperti, colui che iniziò circa dieci anni fa assieme al mio compagno abituale di osservazioni, un ragazzo poco più che principiante e suo papà, un semplice curioso. I due “poco esperti”, il curioso e chi ha iniziato dieci anni fa (ma si è limitato a osservicchiare sempre gli stessi facili oggetti) riuscirono a vedere soltanto le numerose stelline di campo, mentre il ragazzo poco più che principiante, che però svolge un’attività più regolare, ne vide due! Quest’ultimo punto mette a nudo un altro interessante aspetto dell’osservazione astronomica; la frequenza e la regolarità assumono un’importanza estrema nella capacità di rilevare oggetti deboli. In definitiva, il “fattore” esperienza è un elemento imprescindibile per chi desidera godere delle eteree bellezze del cielo stellato.

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