In questo nostro spazio
dedicato all’indagine visuale del cielo profondo, ci siamo più volti presi
il non facile compito, di analizzare a fondo i vari modus operandi ad
essa legati. Si tratta certamente di un’attività non certo facile, anzi; tanto
difficile, come ebbe ad affermare qualcuno, che osservare un oggetto celeste
debole, è come notare un gatto nero, di notte, chiuso dentro un sacco nero!
In effetti bisogna proprio riconoscere che l’osservazione visuale è una
faccenda piuttosto delicata, spinta – il più delle volte – ai limiti di noi
stessi; forse è proprio l’estrema difficoltà nell’osservare con un certo
profitto, i DSO (Deep Sky Objects) che spinge i più verso l’astrofotografia.
In fondo, come ripetutami da più fonti, ci si può anche “stufare” di tanta
debolezza, macchiette informi prive di qualunque connotato strutturale, che
contraddistingue invece le riprese fotografiche... Pur rispettando, come sempre del
resto, tutte le scelte (anche se questo non può certo impedirmi di esprimere
il mio libero pensiero sull’argomento) non concordo con chi sceglie
l’indagine fotografica, come una specie di “ripicca” contro un’osservazione
visuale arida.
Ovviamente ci sono vari fattori che dovrebbero scendere in campo, per
trasformare l’indagine visuale in qualcosa di più emozionante del soliti
“wow”, piuttosto che ripetere meccanicamente le osservazioni, senza notare
le più deboli e minute sfumature, neppure osservando la nebulosa M42! È ben
per questo che, quando il sottoscritto riportò l’osservazione di tonalità
cromatiche visti in questa nebulosa, attraverso il suo 508 mm in alta
montagna (non all’interno di un cercatore 5x24 diaframmato) fu come
bestemmiare in chiesa! Evidentemente non siamo più abituati ad accostare
l’occhio all’oculare con spirito di ricerca, che ci fa dimenticare la
stanchezza e ci conforta durante le ore diurne. Chi si cimenta
nell’osservazione visuale degli oggetti deboli, lo fa essendo ben conscio di
tutte le difficoltà, accettando per così dire la sfida, in primis con se
stessi. Ovviamente, ci riserveremo l’onere della misura, soltanto quando il
nostro adattamento all’oscurità sarà perfetto, ma anche la forma fisica ha
la sua importanza; sarà assai difficile essere efficienti (e questo in tutte
le umane attività) non essendo al massimo della forma.
Nessuno si sognerebbe mai di affrontare una maratona non possedendo la
corretta forma fisica, e l’allenamento necessario per sostenerla, così come
non entrereste all’interno di un ring, dopo una notte insonne, anche essendo
allenati! Ebbene; pensiamo che l’osservazione visuale degli oggetti celesti
deboli, richieda una condizione d’approccio tanto diversa?
Per affrontare una proficua serata dedicata all’’osservazione delle
meraviglie celesti, bisognerà preoccuparsi di aspetti, apparentemente
distaccati da questa attività:
1. Se la serata è particolarmente fredda bisognerà vestirsi adeguatamente ma
con un occhio di riguardo alla comodità dei movimenti, è perfettamente
inutile imbottirsi al punto tale da non potersi quasi muoversi.
2. L’osservazione visuale è un’attività gratificante ma “sedentaria”;
infatti l’oculare del telescopio non richiede molti movimenti. Sgranchirsi
le gambe ogni tanto (allontanandosi dallo strumento) non può che giovare
alla percezione di dettagli al limite.
3. Eseguire lunghe è profonde respirazioni e, benché questo possa suonare
strano, non pensare a quello che si fa mentre lo si fa! In questo modo la
mente conscia entra in gioco, per così dire, soltanto a tavolino, senza interferire
con quello che l’occhio vede; l’osservatore visuale esperto confida
principalmente nel suo istinto.
4. Per ultimo, ma non per questo meno importante (last but not least);
registrare qualunque cosa si riesce a; vedere, percepire, sospettare e
addirittura “annusare”, preoccupandosi solo in un secondo tempo di quello
che è o non è possibile, vedere; questa attività la lasciamo volentieri
nelle mani di coloro che “osservano” standosene comodamente seduti davanti al
monitor di un computer!
Oltre la sesta magnitudine
Durante una serata in alta montagna, dedicata all’osservazione binoculare,
utilizzando il “piccolo” Fujinon 25X150, ci è capitato di fare delle
esperienze eccezionali e molto gratificanti. La notte era spazzata dai
provvidenziali venti di foehn, la sagoma oscura del binocolone prometteva
occhiate di maestosa profondità; è veramente incredibile come anche un certo
tipo di strumento, possa far “vibrare” certe corde… Proprio come quando si
ha una fame irresistibile, non riuscivo a resistere all’attesa di montare il
tutto e cominciare a osservare. La canzone cantata dal vento che frusciava
tra i pini, creava la corretta atmosfera di calma e fervore nello stesso
tempo; puntammo lo strumento verso numerose galassie nella costellazione del
Leone e, nonostante l’ingrandimento non molto sostenuto, ci siamo
meravigliati della facilità con la quale il Fuji, letteralmente “strappava”
le galassie al fondo cielo! Ma un chiarore diffuso, ben visibile a occhio
nudo tra le stelle δ (a sud) e γ (più a nord) Cancrii attirava
l'attenzione; si tratta, come tutti
avrete capito, dello splendido ammasso aperto M44, utilizzato, quando il
cielo era ancora degno di questo nome (!) come utile indicatore del clima,
se non era visibile ad occhio nudo, voleva dire che stava cambiando il
tempo.
Ma per noi questo incantevole oggetto celeste ha un significato differente;
assaporarne le sue componenti, e tuffarsi in un meraviglioso viaggio
celeste, tra stelle doppie e triple di cui M44 abbonda. Il primo a
osservarlo fu il sottoscritto; “Nonostante i 2,7° di campo del Fuji, si fa fatica a
osservarlo interamente! È composto da astri molto brillanti, disposte in
forma vagamente irregolare; nei pressi del centro si vedono due triple di
stelle, quella più a sud sfoggia un astro arancione con due compagne
azzurrognole. Quella posta più a nord, ha una componente arancione, una
azzurrina e una più debole bianca. Ci sono anche diverse doppie… l’ammasso
non mostra una particolare condensazione, ne dei confini ben definiti. Una
curiosità: nella sua parte centrale ci sono alcune stelline disposte a V
(ricordano le Iadi)”. È proprio l’ultima parte di questa osservazione ad
essere l’oggetto della nostra discussione: con gli occhi ancora ricolmi di
“cotanta bellezza”, mi staccai (anche se è più corretto dire che mi strappai
con la forza) dal binocolo, offrendo il posto sullo gabellino a Luciano.
Nel frattempo cominciai a ammirare l’ammasso aperto ad occhio nudo, quasi a
voler prolungare
l’osservazione binoculare, accuratamente registrata; continuai la
registrazione anche con l’occhio disarmato, riportando quanto segue; “lo si
vede senza problemi anche ad occhio nudo, come una macchia vagamente
sferica; con la visione distolta riesco a vedere quelle stelle disposte a V
ben evidenti al binocolo”. La serata proseguì nel migliore dei modi, ci
divertimmo tantissimo gustando profondamente tanti altri ammassi aperti, e galassie nel Leone che, benché
visibili come tenui fiocchetti dall’aspetto tanto etereo, ci hanno regalato
forti emozioni di profondità.
Tornato a casa, seduto (come in questo momento) davanti al monitor di un
computer, cominciai a riordinare le osservazioni;
confrontando ciò che avevo visto direttamente all’oculare del “piccolino”,
con quanto visto ad occhio nudo, mi
sono servito del software Perseus, molto ben realizzato, sempre molto utile
per i miei scopi.
A seguito della descrizione del “Presepe” fatta ad occhio nudo, controllai,
convinto che la mv delle stelline da me avvistate, sebbene in visione
distolta, fosse prossima alla 6; dovetti ricredermi (vedi cartina ottenuta
tramite Perseus); si noti la mv limite di +6,8 raggiunta a occhio nudo, non
allo zenit!
Se avessi conosciuto preventivamente la mv di queste stelle, avrei anche potuto
sospettare di averle viste per il gusto di spingere la mv limite del mio
occhio oltre la sesta, ma non avendo nessun sospetto della loro luminosità
visuale, il tutto fu per me una piacevolissima sorpresa; evidentemente i
limiti che ci vengono posti come “insuperabili” da una certa letteratura, non lo
sono affatto! Oppure, alcuni di noi, particolarmente allenati
all’osservazione di oggetti deboli, risultano avvantaggiati, ma quest’ultima
ipotesi non cambia l’affermazione iniziale.
La domanda che sorge spontanea, almeno a chi scrive queste righe è; qual è
il limite reale?! Non dovrebbe sorprendere che, al telescopio di un’apertura
data, sotto un buon cielo d’alta quota, e per un osservatore molto ben
allenato, siano visibili oggetti e/o particolari di oggetti celesti,
ritenuti comunemente ben al di la delle umane possibilità, almeno che
qualcuno non voglia considerarci inumani!
Prima di parlare (o sparlare, fate voi) di impossibilità, e di limiti
invalicabili, mettiamoci almeno nella condizione di abbattere certe
“barriere”, nella maggior parte delle volte erette da noi stessi... |