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Questo mese vorrei condividere con chi mi legge, alcuni pensieri che mi
frullano per la testa da qualche tempo a questa parte … Qualche mese fa,
leggendo un articolo riguardante alcune novità nel mercato astronomico
(sulla nota rivista americana Sky&Telescope), ho notato alcune cose
interessanti e nello stesso tempo inquietanti. È senz’altro piacevole
constatare che, nonostante una decantata crisi nel mondo dell’astrofilia
italiana (e non), vengano presentati nuovi prodotti dalle caratteristiche
innovative, segno di una non decadenza di idee, e di questo non ci si può
che rallegrare. Ma nello stesso tempo non si può non notare, un interessante
controsenso in tutto questo stato di cose; veniamo con ordine …
Tra gli strumenti innovativi citati nell’articolo, ci sono montature assai
robuste, e nel contempo relativamente trasportabili, computer di puntamento
sempre più sofisticati ma, soprattutto, una nuova linea di telescopi Dobson
(Orion), della serie “Monster Dobsonians”
il cui esemplare più “piccolo” ha il ragguardevole diametro di ben 36” (910
mm)! Come non provare tanta meraviglia e ammirazione verso questi autentici
gioielli (dal prezzo interessante anche se – comprensibilmente) elevato. Un
sogno per qualunque osservatore visuale … Stavo assaporando i miei più rosei
pensieri su simili aperture, quando alcune nubi minacciose s’affacciarono
alla mia coscienza: quanta carne al fuoco … ma dov’è il fuoco?!
Pensavo a quanto sia difficile sfruttare una certa apertura da una
postazione suburbana, domicilio di una bella fetta di astrofili, me – sic! –
compreso. Dalla decisione di utilizzare il mezzo metro soltanto dalla
montagna, alla decisione sofferta dell’amico Luciano, di dar via il suo
magnifico Celestron 14, semplicemente perché non riusciva a sfruttarlo dalla
sua abituale postazione osservativa, troppo inquinata dalle luci e troppo
ostruita da ostacoli artificiali. Allora, tutta quella magnifica “potenza di
fuoco” che veniva presentata sulle pagine di quella rivista a che (e a chi)
serve, mi sono rispettosamente chiesto? A questo punto però non vorrei esser
frainteso; non sto affatto affermando che la strumentazione, in se stessa,
sia cagionevole di utilità, è il contesto semmai a procurarmi certi
grattacapi.
Ho ancora drammaticamente chiara la magnifica immagine del pianeta Saturno,
“scolpita” quando osservata con l’apocromatico da 120 mm, brillante ma
slavata dal seeing, al fuoco del C14: si può obbiettare – correttamente –
che una grande apertura è fatta per raccogliere la debole luce degli oggetti
più diafani, tesi che ho del resto sempre sostenuto, e non intendo certo
demolire in alcun modo in questa sede, ma (entrando nel vivo del mio
pensiero), due aspetti m’attanagliano la mente:
L’impossibilità di recarsi ogni serata limpida in alta montagna.
La reale difficoltà legata al trasporto di simili “mostri” (mi riferisco
ai giganti Orion).
Ostacoli artificiali e inquinamento luminoso si sommano paurosamente a
difficoltà logistiche. Qual è la via d’uscita da questa situazione: o ci si
arrende (e questo non mi passa neanche per l’anticamera del cervello), o si
cerca di aggirare l’ostacolo intelligentemente; come? A questo punto, ci si deve arrendere all’evidenza: l’inquinamento luminoso
dilaga e nessuno (NESSUNO) sembra riuscire a contenerlo! È da quando ho
iniziato il mio viaggio nell’affascinate mondo del’astronomia, che dura
ormai da 30 anni, che sento parlare (in modalità differenti) di questo
problema, le riviste (italiane e straniere) propongono soluzioni - qualcuna
riuscita - e iniziative (poche!) atte ad aggirarlo, ma da trent’anni la
situazione è davvero mutata; in peggio! Mi chiedo per quanto tempo possiamo ancora andare avanti, prima di rendere
il cielo, anche delle località in cui è oggi accettabile, irrimediabilmente chiaro …
Ricordo al proposito il cielo di Prarotto, com'è cambiato (anch’esso in peggio) da
vent’anni a questa parte: per ritrovarci sotto un cielo REALMENTE nero,
ormai bisogna recarsi nei deserti algerini! Allora, il discorso iniziale,
che ha guidato il mio pensiero, può estendersi nel futuro a media/lunga
scadenza. Per il momento (non fasciamoci la testa prima che sia rotta) possiamo
prendere in esame alcuni escamotage: Potremmo sicuramente osservare, selezionando accuratamente gli oggetti
celesti in base alle loro dimensioni, mag. visuale e altezza sull’orizzonte. Ci si reca in montagna ogni volta che (realmente) si può, senza
prendere tante scuse, il più delle volte con se stessi. Si potrebbero acquistare in società alcuni di questi strumenti giganteschi,
dividendo spese e difficoltà di trasporto e gestione. Quest’ultimo punto viene già brillantemente affrontato per quanto riguarda
gli “osservatori remoti”, ma è valido per un uso esclusivamente fotografico:
perché non adottare una simile strategia anche per l’osservazione visuale?
Ovviamente non possiamo “osservare in remoto”, possiamo ritagliarci un
nostro spazio in alta montagna, rigorosamente custodito, e porvi la nostra –
grossa – strumentazione. Abbatteremmo in un sol colpo molti ostacoli: a
cominciare dal costo della strumentazione, alla gestione e cura della stessa
… Ma anche dal punto di vista della frequentazione si viene maggiormente
invogliati a recarsi sul proprio terreno di osservazione … Pensiamoci amici, potremmo unire i nostri sforzi, e costruire una “rete di
coscienze cosmiche”, atte a riappropriarsi del cielo stellato che ci hanno
RUBATO, rischiando di ”contagiare” anche altre persone, che ne dite? Attendo idee e proposte da chiunque voglia cimentarsi in quest’avventura.
Pubblicherò di seguito, le vostre idee e/o semplici commenti, atti a
realizzare questo piccolo/grande sogno …
A presto dunque, ci vediamo allo Star Party di Saint-Barthélemy, che si
svolgerà nei giorni 10/11/12 settembre di quest’anno: anch'io avrò
qualche sorpresina per voi!
Il pensiero salverà il mondo …
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